Un giornalista può diffondere dati personali anche senza il consenso dell'interessato?

Il Case History di oggi riguarda un tema che sicuramente interesserà molti di voi: la privacy e la diffamazione.
Infatti, quante volte vi sarete chiesti se sia lecito o meno che un giornalista diffonda i dati personali di una persona, senza avere il consenso dell’interessato.
Ci ha pensato la Corte di Cassazione a fare un po’ di chiarezza. La risposta è affermativa: la sentenza ha infatti ribadito i limiti del diritto di cronaca e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione rispetto a fatti di interesse pubblico.

Nel Case History in questione il sig. A., comandante del corpo dei vigili del fuoco aveva denunciato la società editrice ed il direttore responsabile di un quotidiano, per avere pubblicato il testo letterale (ancorché parziale) di una sua telefonata, effettuata dall’ufficio del Comando dei Vigili del Fuoco ed abusivamente captata e diffusa; nonché per aver fatto seguire la pubblicazione da altri articoli che mettevano in risalto la vicenda pubblica cui era riferito il colloquio privato ed inoltre per aver reso disponibile a chiunque il file audio della telefonata completa, pubblicandolo sul proprio sito internet, con download gratuito.

La fattispecie di reato ipotizzata era la diffamazione a mezzo stampa cui sarebbero conseguite le sue forzate dimissioni prima dal corpo dei VV.FF. e poi da dipendente del Comune, con l’anticipato pensionamento e conseguenti gravi danni alla salute.
Il sig. A. lamentava inoltre la lesione del diritto alla riservatezza dei dati personali e sensibili diffusi attraverso la pubblicazione del colloquio telefonico, la conseguente lesione dei diritti della personalità (immagine, onore, reputazione) e della vita familiare, professionale e di relazione.

Nel rigettare la domanda, i giudici avrebbero errato il giudizio di prevalenza delle esigenze di informazione sulla tutela dei dati personali, basandosi su una sopravvalutazione del particolare interesse pubblico alla notizia, sia pure in ambito locale.

La Suprema Corte, ha invece ritenuto correttamente applicato il principio di bilanciamento dei contrapposti interessi operato dalla Corte di Appello, che è espressione di un orientamento assolutamente consolidato della giurisprudenza di legittimità, in base al quale, in tema di trattamento dei dati personali, la legge, con riferimento all’attività giornalistica, stabilisce il principio della libertà del trattamento, nell’osservanza del codice deontologico, in ossequio al diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico, ma anche al suo contemperamento con il canone della essenzialità dell’informazione.
Il rispetto delle previsioni deontologiche è, dunque, condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali e, se tali presupposti non sussistono, il consenso dell’interessato è imprescindibile e la diffusione del dato senza quel consenso è suscettibile di essere apprezzata come fatto produttivo di danno risarcibile.

Si tratta di un orientamento che, riferito già alla legge n. 675 del 1996, va qui confermato in riferimento al D.Lgs. n. 196 del 2003, che tutela il diritto alla riservatezza in modo pieno ed organico, quanto al trattamento dei dati personali «comuni», e di quelli «sensibili» in particolare.

Del resto, è lo stesso legislatore del Codice a prevedere l’operatività dell’esimente del diritto di cronaca rispetto al trattamento dei dati personali effettuato nell’esercizio della professione del giornalista.

Il Codice dedica gli artt. 136 e 137 al trattamento di dati effettuato per finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero, dettando così una disciplina speciale volta a bilanciare valori fondamentali – quali il diritto all’informazione e i diritti della persona, in particolare quello alla riservatezza, all’identità personale e alla protezione dei dati personali. Essa prevede deroghe alla disciplina generale riguardo ai presupposti necessari per il trattamento di dati personali, nonché la semplificazione di taluni adempimenti (cfr. art. 139 del Codice) stabilendo che il giornalista può diffondere dati personali anche senza il consenso dell’interessato, purché nei limiti del diritto di cronaca «e, in particolare, quello 12 dell’essenzialità dell’informazione rispetto a fatti di interesse pubblico» (art. 137, comma 3, del Codice) e demandando la disciplina di alcuni aspetti della materia al codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica di cui all’allegato A.1 del Codice (Provvedimento del garante del 29 luglio 1998, in G.U. 3 agosto 1998, n. 179).

E voi, cosa ne pensate di questa sentenza? Per saperne di più, contattateci.

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