Case History: la contraffazione via Web

Il fenomeno della contraffazione è forse uno dei più delicati e complessi, tra quelli illeciti, soprattutto quando viene effettuata via Web. Questa pratica in particolare viene aggravata dalla transnazionalità. Ed è proprio di questo argomento che parleremo nel Case History di oggi.

Infatti, la sesta sezione penale della Suprema Corte di cassazione con una sentenza del 20 settembre 2017 (n. 43121) ha confermato e chiarito alcuni punti in materia di aggravante della transnazionalità di cui all’art. 4 legge n. 146/2006 con riferimento ad associazioni criminose operanti nel settore della contraffazione, importazione e commercializzazione di capi di abbigliamento e calzature con segni falsi.

In una sentenza del 17/03/2016, la Corte di Appello di Napoli si pronunciava sul fenomeno della importazione e/o commercializzazione di capi d’abbigliamento e calzature, contraddistinti dalla contraffazione di alcuni fra i più prestigiosi marchi del settore e che aveva portato ad ipotizzare, in un primo tempo, e successivamente a ricostruire e delineare di diversi sodalizi criminosi.
Alcuni di questi, dediti alla produzione, ricettazione e commercializzazione di calzature recanti i marchi falsificati “Nike”, “Adidas” e “Hogan”, nonché alla importazione di analoghi prodotti dalla Repubblica Popolare cinese e nella commissione dei delitti scopo di cui agli artt. 474 c.p. e 473 c.p..
Le indagini conducevano all’individuazione di un’altra associazione dedita alla produzione ed alla vendita di prodotti contraffatti oltre che alla realizzazione dei reati fine di cui agli artt. 473 e 474 c.p., nonché, infine, alla scoperta di altra associazione di stampo camorristico, la quale ultima si faceva regolarmente e periodicamente corrispondere somme di denaro da altro sodalizio criminoso per consentire allo stesso di gestire nel proprio territorio le bancarelle deputate alla vendita al dettaglio della merce contraffatta.

In questa sentenza veniva, altresì, riconosciuta la ricorrenza dell’aggravante della transnazionalità.
Ai sensi dell’art. 3 della legge 16/03/2006, n. 146 di ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001, un reato si considera “transnazionale”, qualora risulti il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato, nonché il reato:
(i) sia commesso in più di uno Stato, ovvero
(ii) sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato, ovvero
(iii) sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato,
(iv) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.

Il successivo art. 4 contempla una circostanza aggravante che si applica ai reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni e nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato.
Secondo un consolidato orientamento esegetico fatto proprio dal Supremo Collegio, ai fini della configurabilità dell’aggravante della transnazionalità è necessario che alla consumazione del reato transnazionale contribuisca consapevolmente un gruppo criminale organizzato contraddistinto da:
(i) stabilità dei rapporti fra gli adepti,
(ii) una struttura organizzativa sia pure minimale,
(iii) non occasionalità o estemporaneità della stessa, nonché
(iv) finalizzazione alla realizzazione anche di un solo reato e al conseguimento di un vantaggio finanziario o comunque materiale.

Deve pertanto esserci la presenza di un’organizzazione strutturata, esistente da tempo, composta da più persone che agiscano di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi ovvero reati tra quelli previsti dalla legge (cc.dd. reati scopo), al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale.
Non si potrà configurare il reato ove le persone coinvolte si siano accordate per la commissione occasionale di un reato, sebbene non risultino espressamente stabiliti e previsti ruoli formalmente definiti per i suoi membri, risultando sufficiente una continuità nella composizione o una struttura articolata.

Una importante sentenza della Corte di cassazione la quale ha escluso che l’aggravante della transnazionalità possa considerarsi elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie delittuosa, rappresentando una peculiare modalità di espressione riferibile a qualsivoglia fenomenologia criminosa, alla sola, ineludibile condizione che le dette ipotesi delittuose risultino connotate da una proiezione transfrontaliera, sia sul piano oggettivo che per quanto concerne la loro rientranza nella sfera di azione di un gruppo organizzato operante in più di uno Stato.
In presenza dei parametri ai quali attenersi per la corretta qualificazione della fattispecie sono dettati dall’art. 3 della legge n. 146/2006 sarà possibile riconoscere il carattere della transnazionalità, che implica una connotazione di maggiore pericolosità e lesività.
Non a caso l’art. 4 della legge del 2006 introduce una speciale aggravante per il reato “grave” che risulti commesso con il contributo di un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato. Con la conseguenza che il riferimento generico a qualunque tipologia criminosa che rispecchi le caratteristiche sanzionatorie richieste dalla legge in commento, porterebbe a ritenere, secondo il massimo consesso della Suprema Corte di cassazione, che l’apporto causale di un gruppo strutturato possa spiegarsi nei confronti di qualsivoglia espressione delittuosa, e – dunque – anche del modulo criminoso associativo e non dei soli reati scopo, di cui la prima costituisce il mezzo ineludibile per la relativa consumazione.
Alcuni Autori sottolineano però la potenziale antinomia tra l’aggravante della trans nazionalità ed un reato ti tipo associativo che presuppone una stretta ed immediata relazione tra i membri del consesso criminoso, ponendosi però in contrasto con la lettera della legge.

Dirimente appare l’insegnamento della Cassazione per la quale, ai fini della configurazione della speciale aggravante della transnazionalità, non è affatto necessario che il reato in questione venga commesso anche all’estero, ben potendo restare circoscritto in ambito nazionale, né che l’associazione per delinquere operi anche fuori dal territorio nazionale; così come non si richiede neppure che del sodalizio criminoso facciano parte soggetti operanti in paesi diversi, essendo solamente necessario che la commissione del reato oggetto di aggravamento abbia visto il contributo di un gruppo strutturato dedito ad attività criminali a livello internazionale: contributo, si badi, che ancorché realizzato in forma associativa, deve risultare materialmente distinta da quella necessaria ad integrare la fattispecie-base, in quanto proprio tale contributo integra quel quid pluris posto a fondamento dell’aggravamento sanzionatorio della dinamica lesiva concreta.
La Corte di Cassazione, se da un lato condivide le considerazioni svolte dalla Corte d’Appello di Napoli con riferimento all’opera di intermediazione svolta con continuità, per conto dell’associazione cinese, dal menzionato associato Tizio – considerato l’anello di congiunzione con quanti agivano nella Repubblica Popolare cinese; dall’altro, ritiene la sussistenza di apprezzabili dati empirico-fattuali in grado di fornire certezza in ordine alla ricostruzione del segmento cinese delle operazioni negoziali.

In conclusione, in presenza di un quadro probatorio complessivo oggettivamente deficitario ed insuscettibile di essere arricchito, il Giudice ha ritenuto non adeguatamente provata la sussistenza di un “gruppo organizzato”, nell’accezione sopra delineata, vale a dire di gruppo composto da almeno tre persone, che agiscono illecitamente in modo non estemporaneo in più di uno Stato, al fine di lucrare utilità dalla commissione di gravi reati.
Sulla scorta di tali rilievi motivazionali il Custode delle leggi ha annullato la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza di detta aggravante, con conseguente eliminazione dell’aumento di pena apportato a tale titolo e rideterminazione della pena residua in anni due di reclusione.

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