Fashion Law: cosa succede in caso di imitazione servile di tessuti.

Il Fashion Law è un ramo del Diritto relativo al mondo della Moda. Oggi vi sottoporremo il caso di A., che ha subito l‘imitazione servile dei tessuti della collezione P. by L.S., da parte dell’azienda T. s. di L. H.

Il caso riguarda la peddisequa riproduzione dei disegni di tessuti utilizzati per la collezione P/E 2016.

L’imitazione servile è un atto di concorrenza sleale che consiste nell’imitazione fedele e pedissequa dei prodotti di un concorrente, tale da creare confusione nel pubblico sulla provenienza degli stessi.

Sul caso esposto da A., non risultando allo stato registrazioni di disegni predetti in sede nazionale o comunitaria, non sarebbero esperibili i rimedi apprestati dagli artt. 33 e ss. C.P.I.

In un simile contesto si potrebbe invece ipotizzare un’azione civile finalizzata alla repressione di condotte di concorrenza sleale per imitazione servile ex art. 2958 c.c., preceduta da una eventuale richiesta di sequestro e di inibitoria d’urgenza ante causam.

In tal senso si è pronunciato, ad esempio il Tribunale di Torino con sentenza del 13 marzo 2013, stabilendo che “l’imitazione di disegni e modelli altrui, che possiedano una capacità distintiva che ne individua agli occhi del pubblico la provenienza da una determinata impresa e l’appartenenza a una specifica linea di prodotto (com’è desumibile, in sede di valutazione sommaria nell’ambito di un procedimento cautelare), dà luogo alla violazione dell’art. 2598, n. 1 c.c..” (GADI 2013, 1, 949).

Al riguardo occorre tuttavia considerare l’altro autorevole indirizzo giurisprudenziale per il quale dal “riscontro” dei presupposti della “tutela prevista dall’art. 2598 n. 1 contro l’imitazione servile, sempre subordinata all’individuazione degli elementi ritenuti indebitamente ripresi nei prodotti dell’imitatore e dotati di per sé di un’apprezzabile e determinata capacità distintiva idonea cioè a ricondurre i prodotti alla loro specifica origine”, vanno “epurati 1) elementi consolidati nella tradizione, acquisiti al gusto collettivo dominante nel mercato e dunque non nuovi in sé; 2) soluzioni formali che assumono per di più un sostanziale ed esclusivo valore ornamentale che possono trovare tutela solo mediante lo strumento del disegni e del modello” (Tribunale Milano sez. spec. 24.12.2012 in GADI, 2013, 598).

Il nostro studio ha suggerito questa strategia: dal momento che non può escludersi che il Tribunale di Firenze riconduca i disegni copiati ad un gusto ormai consolidato del pubblico femminile per stampe orientaleggianti e/o esotiche, rigettando almeno in prima battuta, la tutela cautelare richiesta sarebbe quindi preferibile concentrarsi sul profilo “del sostanziale ed esclusivo valore ornamentale” dei tessuti in questione, la cui tutela dovrebbe però essere richiesta in base alla normativa sul disegno.

In assenza di registrazione dovrà farsi riferimento alla disciplina del disegno o modello comunitario.

Il modello comunitario non registrato rappresenta un diritto non titolato la cui disciplina è dettata dal Regolamento del Consiglio su Disegni e Modelli Comunitari n. 6/2002.

Le ragioni che hanno determinato l’istituzione di una forma di protezione non titolata e, quindi, non gravata dagli oneri di registrazione e dai relativi costi, vanno ricercate proprio nella disposizione comunitaria che, al sedicesimo considerando, riconduce la necessità di una breve tutela all’esigenza di alcuni settori industriali delle Comunità Europea che realizzano un gran numero di disegni o modelli di prodotti – destinati a non restare a lungo sul mercato – in relazione ai quali ottenere una protezione, senza formalità di registrazione, rappresenta un vantaggio.

Come sopra accennato, il modello o disegno comunitario non registrato è caratterizzato da una tutela temporalmente limitata, posto che è protetto per un periodo di tre anni decorrente dalla data in cui il disegno o modello è stato divulgato al pubblico per la prima volta nella Comunità. Trattasi di divulgazione qualificata, atteso che l’art. 11 del Regolamento riconduce l’acquisto del diritto a specifiche attività poste in essere dal suo titolare, quali l’uso in commercio ovvero l’esposizione, suscettibili di essere conosciute dagli ambienti specializzati del settore interessato.

Alla stessa stregua di quello registrato, il modello comunitario non registrato deve possedere i requisiti di novità e carattere individuale ed a questo proposito il Tribunale di Milano, ha stabilito che “la forma protetta come disegno o modello deve avere un livello di individualità tale non solo da attirare l’attenzione del consumatore ma anche da costituire motivo di preferenza per l’acquisto”, salvo l’onere del titolare, in mancanza di registrazione, “di definire il carattere individuale in modo più pregnante ai sensi dell’art. 85 reg. mod. com”.

Quest’ultima norma esige dunque che l’attore in contraffazione del disegno non registrato indichi e provi in cosa il suo disegno o modello presenti il carattere dell’individualità.

Occorrerebbe in altri termini essere in grado di dimostrare, con documenti, pubblicazioni su giornali specializzati, redazionali, cataloghi, ecc. ecc., che quella a specifica stampa è stato dato, con investimenti pubblicitari rilevanti anch’essi possibilmente documentabili, un preciso valore che l’ha fatta assurgere ad elemento idoneo ad identificarla ictu oculi con il marchio e la collezione Ph.

Al riguardo va precisato che la semplice messa in commercio e diffusione sul mercato costituisce soltanto una condicio sine qua non per l’accesso alla tutela, come riconosciuto da quella parte della giurisprudenza per la quale il diritto in questione “sorge solo con la divulgazione al pubblico del disegno o modello, mediante pubblicazione, esposizione, uso in commercio, in modo che, nel corso della normale attività commerciale, tale disegno o modello abbia potuto essere conosciuto negli ambienti specializzati del settore interessato”. (Tribunale Milano sez. spec. 24.12.2012 cit.)

Per soddisfare siffatta condizione sarebbe sufficiente allegare documentazione idonea a dimostrare la diffusione degli articoli sul mercato, via internet od attraverso canali tradizionali (show room, sfilate, agenzie ecc. ecc. esposizioni in vetrine ecc.).

Come accennato, tali produzioni potrebbero però essere non idonee a dimostrare un grado di associazione tra il disegno in questione ed il marchio Ph. atto a conferirgli la particolare forza individualizzante costituente l’altra condizione richiesta dal Regolamento CE 6/02.

Alle medesime conclusioni, peraltro, si dovrebbe pervenire alla stregua dell’art. 2598 c.c. atteso che “perché possa dirsi integrata la concorrenza sleale per imitazione servile non è sufficiente la mera riproduzione del prodotto e delle sue modalità di presentazione, per quanto pienamente sovrapponibili, occorrendo anche che la riproduzione delle forme ricada su elementi dotati di reale efficacia individualizzante, ossia che permettano di associare il prodotto all’attività di impresa” (Tribunale di Venezia, Sez. Spec. 23 novembre 2012; conforme Tribunale Bologna Sez. Spec. 6 febbraio 2013).

In buona sostanza, “ai fini della concorrenza sleale confusoria, non è sufficiente provare che un proprio prodotto è imitato fedelmente da quello del concorrente ma, in virtù del principio di libera appropriabilità delle forme, occorre anche provare che tale imitazione è confusoria, perché investe elementi idonei ad ingenerare confusione nel pubblico, in particolare indicando quali ele,menti in specifico conferirebbero al prodotto capacità distintiva” (Tribunale Milano Sez. Spec. 16 maggio 2013).

Applicando simili criteri al caso di specie, riuscendo a dimostrare con documentazione sufficientemente copiosa e significativa che quel particolare disegno, per diffusione dei capi, investimenti pubblicitari, attenzione della stampa specializzata ecc. ha assunto un valore iconico della collezione e del brand “Ph” potremmo tentare di ottenere un provvedimento civile, in via cautelare ed urgente, di sequestro e/o inibitoria.

Si potrebbe così superare anche il possibile rilevo della enorme diffusione, specie nelle collezioni femminili estive, di tessuti con stampe orientali e/o esotiche. Il Tribunale di Milano con ordinanza del 27 luglio 2005 ha invero stabilito che, ove sia ravvisabile la forza individualizzante del disegno de quo, “ai fini della disciplina dei disegni e modelli, il particolare affollamento di un settore giustifica la tutela in funzione di una novità e individualità da riconoscersi ai disegni che presentino differenziazioni anche lievi rispetto alla anteriorità (nella specie si trattava di disegni pe camicie da uomo) (Tribunale Milano 27 luglio 2005).

 

Pur trattandosi di un precedente piuttosto risalente, l’ordinanza potrebbe essere utilmente richiamata anche nel caso specifico, sempre che, preme ribadirlo, si sia in grado di dimostrare la divulgazione e l’acquisto da parte del disegno di autonoma capacità individualizzante per tabulas e senza necessità di articolate attività istruttorie.

La misura cautelare, infatti, potrebbe essere utile solo ove concessa inaudita altera parte, atteso che, qualora si dovessero svolgere una o più udienze prima di ottenere un provvedimento esecutivo, peraltro reclamabile, lo stesso perderebbe ogni efficacia concreta, sia perché, molto probabilmente, ricevuta la notifica del ricorso le controparti avrebbero possibilità di occultare la merce, sia perché, trattandosi di collezioni stagionali, si correrebbe il rischio di intervenire oltre ogni tempo ragionevolmente utile.

In alternativa si potrebbe depositare una querela per turbata libertà del commercio ex art. 513 c.c., con richiesta di adozione di un sequestro probatorio, fermo restando che la possibilità di successo di siffatta iniziativa è piuttosto remota, stante la tendenza delle Procure a ricondurre questo tipo di condotte all’ambito civilistico.

Ben diversa sarebbe la situazione qualora si potesse vantare un titolo di I.P. specificamente tutelato contro atti di contraffazione dall’art. 517 ter c.p. (che ha sostituito il primo comma dell’art. 127 c.p.i.), ovvero nel caso fosse stata l’azienda fornitrice a cedere i tessuti ai contraffattori potendosi allora ipotizzare il reato di truffa (art. 640 c.p.) e di rivelazione di segreti scientifici od industriali (art. 627 c.p.) e, laddove i disegni siano stati elaborati dagli uffici stili di A. e poi consegnati all’azienda, di appropriazione indebita (art. 646 c.p.c.), a fronte dei quali sarebbe più probabile la concessione quanto meno di un sequestro probatorio penale.

Il Tribunale ha concesso la misura cautelare inaudita altera parte e, dopo l’esecuzione del sequestro, è stato raggiunto un accordo con la controparte.

Il Diritto Industriale e creativo è un ambito molto vasto, viste le sue innumerevoli applicazioni, e complicato. Ma per un’azienda è necessario proteggere i beni immateriali, facendo particolare attenzione a marchi e brevetti. Oltre che alla difesa giudiziaria dei diritti oggetto di pratiche potenzialmente scorrette, come nel caso di A.

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